I parenti prossimi (coniuge, figli, genitori, fratelli e sorelle) di chi è stato vittima di un grave incidente, hanno diritto ad un risarcimento?
E’ purtroppo comune esperienza di vita la perdita di un nostro caro a seguito di morte non avvenuta per cause naturali (infortunio sul lavoro, incidente stradale, errata terapia medica), cui è seguita, oltre ad una eventuale perdita economica, una nostra profonda sofferenza, derivata dal legame affettivo che ci legava a chi ci ha lasciati.
I medesimi gravi eventi possono altresì condurre, oltre che alla morte, ad una grave forma di invalidità permanente, con le medesime conseguenze (se non più gravi: pensiamo ad una persona traumatizzata in età giovanile, che necessita di assistenza continuativa per il resto della propria vita) per i congiunti.
Da parecchi decenni la giurisprudenza si è preoccupata di trovare il modo di ristorare anche questa sofferenza (oltre ovviamente agli eventuali esborsi economici in sé), quantificando delle ipotesi risarcitorie poste a carico di chi ha causato il danno.
Determinare un “pretium doloris”, e le condizioni alle quali esso è ammissibile, come è agevole comprendere, è cosa delicata e complessa, posto che, da un lato la vita umana o la grave menomazione non hanno prezzo (ma un importo occorre pur determinarlo, per potere procedere al risarcimento), e dall’altro è necessario stabilire dei parametri che debbano venire soddisfatti per consentire al congiunto di accedere al risarcimento: non avrebbe senso, per esplicitare quest’ultimo concetto, ammettere a questa tipologia di risarcimento quei parenti che si sono costantemente disinteressati della persona che è rimasta offesa, e solo ora si presentano.
In questa ottica si inserisce una recente decisione della Corte di Cassazione, che ha ammesso la risarcibilità del danno, a condizione che sussista fra la vittima ed il congiunto un profondo legame affettivo (di cui il rapporto di parentela è un indizio), dimostrabile anche solamente in via indiziaria, che giustifichi la sofferenza morale subita dal congiunto.
Altro principio importante è che il danno subito da congiunti non è un danno “riflesso” ma diretto, una diretta conseguenza della grave lesione inferta al parente prossimo, che pertanto costituisce un fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse (il danneggiato e i suoi parenti più stretti) ma ugualmente dirette.
Ulteriormente interessante è l’argomentazione svolta nella sentenza ove si afferma che il danno subito dai congiunti è da considerarsi come danno morale (a cui può aggiungersi un danno biologico, quale una malattia), e ciò senza che si debba ricercare nel congiunto uno sconvolgimento delle abitudini di vita, che potrà invece rilevare come danno biologico.
Ciò si riflette sulla prova che dovranno dare i congiunti, che, per quanto riguarda il danno morale, inteso come sofferenza d’animo, difficilmente potrà essere data con fatti concreti, ma potranno soccorre anche le mere presunzioni ex art. 2727 c.c.
Cass. Sez. III Civile Ordinanza 08/04/2020 n. 7748.
